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I panari

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maestro-intento-alla-realizzazione-di-panariL'arte di costruire cesti e panieri, intrecciando canne e vinchi, è tra i mestieri più antichi di Botrugno ed è espressione della più autentica mentalità contadina, abituata a utilizzare tutto quanto la natura offre. Nel Salento, privo di sorgenti naturali, le canne (piante dal fusto diritto e vuoto che appartengono alla famiglia delle graminacee) crescevano in terreni paludosi o lungo i canali che convogliavano l'acqua piovana. Dopo essere state essiccate al sole e levigate, venivano tagliate in listelli lunghi e sottili. I vinchi erano quelli dell'ulivo, flessibili e robusti.

Intrecciando questi due prodotti, il contadino costruiva ogni tipo di contenitore necessario al suo lavoro: i "panari", con un unico manico arcuato utili per la raccolta dei vari prodotti (uva, olive, fichi...); e le "cofine" ("cofineddhe" quelle più piccole), che erano ceste di più ampie dimensioni con due manici laterali usate per il trasporto. Con la stessa tecnica venivano anche costruite stuoie e graticci necessari per l'esposizione al sole dei fichi. Infatti, per essiccare questo frutto, un tempo diffuso nutrimento, i nostri contadini usavano costruire nei loro "binificati" (terreni concessi in enfiteusi per essere messi a coltivazione) piattaforme di pietra chiamate "littère". Quando questa operazione veniva compiuta in paese, si usavano graticci o tessuti di canne, chiamati per analogia "littere" o, più propriamente, "cannizzi".

I contenitori erano, comunque, il prodotto più richiesto e più diffuso. La loro lavorazione aveva inizio legando a forma di croce o di raggi era alcuni segmenti duri di ramoscelli d'ulivo, attorno ai quali si facevano scorrere, a forma di cerchi concentrici, altri vinchi, dal cui numero e dalla cui lunghezza dipendeva la superficie del contenitore. Costruita la base, la parte eccedente dei ramoscelli d'ulivo veniva provvisoriamente legata all' estremità. Aveva, quindi, inizio la fase del rivestimento con le canne, che se ben levigate e tagliate, conferivano maggior pregio al manufatto. Alla fine di questa operazione i vinchi venivano ripresi e avvincigliati, in modo da formare l'orlo e il manico del contenitore. I diversi strati di intrecciatura delle canne formavano, così, un'unica struttura, chiusa alle estremità dai vincigli.

Si tende, talora, a confondere questo tipo di lavorazione con quella dei giunchi, che, in alcuni paesi del Salento, era affidata quasi esclusivamente alle donne. Non si è mai vista, invece, una donna impegnata nel lavoro che stiamo qui esaminando e che richiede forza ed abilità, oltre ad un coinvolgimento totale dell'operatore. Le intrecciature, i vincigli devono essere compatti, ben tesi, solidi. Ed è tutto un lavoro affidato alla forza delle mani, che devono tendere e stringere con energia i vinchi sino a fame un corpo unico. Le gambe hanno un ruolo passivo, ma ugualmente necessario; servono per trattenere e tener fermo il manufatto man mano che cresce, mentre l'occhio segue che le intrecciature avvengano con regolarità e simmetria e che le canne si sovrappongano senza sbavature. C'è un solo arnese che viene usato in questo mestiere, la "runceddha" o roncola, utile per levigare e tagliare. Tutto il resto è opera manuale e tale è rimasta sino ad oggi, anche se "panari" e "cofine" hanno finito con l'assumere un ruolo meramente decorativo.

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